La perla

C’era una volta un’isola, dove ogni giorno il sole, con il suo nascente abbraccio, scaldava con amorevole tepore i marmorei scogli che le iridescenti onde tergevano con la loro acqua. Uno scrigno antico lasciato da un tempo che non conosceva memoria, si celava tra questi sassi, che la natura aveva posto quasi a guardiani di qualcosa di più prezioso del più inestimabile dei tesori. Una mappa intessuta con filo del colore della sabbia del più vasto dei deserti, riportava l’ubicazione di una bilancia fabbricata da una dimenticata sapienza. Essa non pesava materiali contenuti, ma voci che raccontavano di profonde saggezze. Il figlio di un vecchio pescatore, forte nel corpo e nobile nell’animo, trovò quell’antica mappa e diresse la prua della paterna barca, che fino ad allora era stata utile a sfamare le sue carni e quelle del vecchio padre, verso un orizzonte che avrebbe nutrito il suo spirito. Prima di partire, però, il padre che era gravemente malato da tempo, con parole che erano insieme sia di benedizione che di commiato, donò al figlio una perla che aveva sfidato i secoli e che innumerevoli generazioni della loro famiglia, avevano conservato gelosamente. Essa, gli disse il vecchio, era la sorella di un’altra perla. Erano state rinvenute assieme, nel morbido nascondiglio di un’ostrica cuoriforme. Una calda mattina d’agosto, un loro avo le aveva fatte risplendere alla luce del sole, una volta fatte riemergere dalle bluastre profondità del mare tra i resti di un’antica civiltà preadamitica. Della sorella, le parole paterne, affermavano che da tempo immemore non se ne sapeva più nulla, tanto che egli stesso pensava fosse una leggenda tramandatagli e quindi non fosse mai esistita. Consegnata nelle mani del figlio, la perla lo avrebbe protetto, così voleva il codice non scritto della loro stirpe, da sventure e avversità. Con gli occhi bagnati dalla stessa acqua che dà la vita, i due si salutarono, purtroppo senza la speranza di rincontrarsi. Questo era l’ultimo desiderio dell’anziano padre.
Notti scure come un sonno senza sogni, seguite da giorni lambiti da uno scirocco rovente che strappava faticosamente ogni respiro, condussero il giovane pescatore sulle candide spiagge di uno sconosciuto paese. La pergamena, non senza difficoltà, scortò l’uomo con le sue enigmatiche indicazioni, presso un oscuro antro nascosto da una rigogliosa vegetazione, che faceva da foglioso cancello. L’antica bilancia, al suo interno in secolare attesa, destava un senso di rispetto e timore. Pietra consumata narrante di civiltà perdute, essa formava insieme al movimento di metalliche circonferenze, una meccanica struttura che solo un abile matematico avrebbe saputo congegnare. La macchina misurava il peso non di spezie persiane o frutta secca di paesi esotici, ma di intangibili essenze, composte di sottili sostanze.
Il ragazzo subito si accorse di grandi sfere impolverate dal tempo, che silenziose riposavano in ampie ceste intrecciate con steli di giunco. Con le mani stanche e inaridite dalla salsedine del mare, il giovane pescatore ne prese una e la posò delicatamente su uno dei due bronzei piatti della bilancia. La sfera prese a brillare come la fulgida stella del mattino che tanto bene egli conosceva, mentre sull’altro piatto, come l’accendersi di una flebile fiamma di una candela, apparve una figura diafana appena riconoscibile, fatta di filamenti nebbiosi che si muovevano danzando al ritmo di una melodia non udibile ad orecchio umano. Il tempo di un battito di ciglia e il ragazzo vide finalmente delinearsi davanti a sé, una figura di giovane donna vestita con abiti da dea greca, che reggeva tra le candide braccia adornate di bracciali, una cornucopia in scintillante madreperla da cui fuoriuscivano preziosi gioielli e infinite monete d’oro. Gli occhi del ragazzo brillavano inumiditi dall’emozione. Tutto ciò sarebbe bastato per vivere da re, non una, ma dieci vite. La sorte benevola lo aveva premiato nel raccogliere tra tante, proprio la sfera dell’eterna ricchezza. Ma un pensiero, come il primo fulmine di un temporale estivo, attraversò la mente del pescatore. Non è questo ciò che desidero e che lasciando la mia terra, avrei voluto trovare, disse asciugandosi le lacrime. A queste parole, la grande sfera tornò opaca e la nobile dea scompàrve insieme alla sua promessa di ricchezza. L’antro ritornò nell’oscurità e un freddo gelido avvolse il giovane e la sua speranza. Egli aveva perduto l’unica occasione che gli antichi dei gli avevano posto dinanzi. Ma al ragazzo non importava, perché aveva sempre avuto altro nel cuore. Una ricchezza interiore che aveva solo il bisogno di schiudersi come un fiore in primavera, in un cuore che ne era già colmo.
Il chiarore del giorno che stava pian piano languendo verso il crepuscolo, orientò il giovane in direzione dell’ingresso di quel luogo dimenticato dagli uomini,  e iniziò ad incamminarsi con passo lento ed incerto, verso ciò che l’aspettava, una vita di reti gettate in mare.
Ma il suo cuore prese a palpitare con nuovo vigore, quando vide in fondo tra le sfere più grandi, una piccola e nascosta, che iniziò a gettare intorno a sé una debole luce, quasi timida e timorosa di mostrarsi. Tornò sui suoi passi, questa volta con una inspiegabile ma solida certezza. Il ragazzo giunse, dopo minuti che sembravano ore, a raccogliere all’interno del vecchio canestro, il frutto della sua ricerca. Una volta trovato, vide con sua grande meraviglia che teneva tra le dita una perla. Un solo pensiero attraversò la sua mente, aprì subito la sua bisaccia dove conservava insieme a quel poco che nutriva il suo corpo, anche quella magica presenza che lo aveva accompagnato nel suo peregrinare. Prese la perla che le mani paterne le avevano consegnato e si accorse che brillava anch’essa dello stesso colore di quella trovata il quell’antichissimo tempio, come due diapason risonanti sulla stessa nota. Come due imperi, quello d’Oriente e quello d’Occidente separati da un sole dormiente, così le due sorelle dopo un tempo secolare di lontananza, si riabbracciavano in un’aura di luce che questa volta si irradiava di un’intensità senza pari, in ogni angolo di quel remoto sito. Non poteva credere ai suoi occhi. L’emozione lo travolse senza che nessun argine potesse contenerla. Le due perle che ora egli teneva tra le sue dita, avevano unito in un solo istante, tutte le generazioni della sua famiglia strette in un ideale, ma in realtà, concreto abbraccio, come unite in quell’ostrica a forma di cuore, erano nate e cresciute le due sorelle. La commozione venne sostituita dall’attonimento, quando vide che le profonde scalanature scolpite da mani di artigiani sapienti, in disegni e simboli sconosciuti sulla pietra della bilancia, si accesero di una luminescenza simile al colore delle perle. L’antico strumento attese. Il ragazzo ora sapeva quale era il suo compito, forse immaginato oniricamente nei suoi dimenticati sogni di fanciullo. Fece un profondo respiro, poi posò le perle, ognuna su un piatto della millenaria stadera. Rumori di pulegge, ingranaggi fermi da epoche dimenticate, ruotarono le due grandi coppe bronzee, che in rotte spiraliformi fecero cadere all’interno di fori posti al loro centro le due perle. Due fari di luce iridescenti sprigionarono da essi e andarono a colpire una lontana stele posta perpendicolarmente sopra la bilancia. In una pesante lastra di granito rosso che fino ad allora, il pescatore non aveva scorto, apparirono delle scritture..
Il giovane pescatore fece ritorno all’isola natia.
Una leggera brezza accarezzava gli scogli e asciugava i lenzuoli che le donne in paese stendevano al sole.
Il vecchio padre, una mattina, svegliandosi, con uno stupore misto ad una grande gioia, si trovò in perfetta salute.
I racconti del giovane pescatore, inizialmente furono il fulcro dei discorsi nelle osterie del villaggio, ma poi come ogni nuova, anche la più stravagante, finì per cadere nell’oblio, in un luogo dove tutto ciò che contava era il sudore della fronte.
Padre e figlio tornarono insieme, a gettare reti tra gli spumeggianti flutti del mare.
Al tramonto, un giorno, mentre i due con l’argano ritiravano sulla sassosa spiaggia la barca, dopo una pesca più proficua di qualsiasi altro giorno della loro vita, il ragazzo si voltò verso casa, che là, in lontananza, li stava aspettando. Il rossastro sole, basso sull’orizzonte, faceva filtrare i suoi ultimi raggi attraverso le nuvole.
Uno di questi entrò attraverso la porta che dava sulla cucina. Sul tavolo che la mattina avevano lasciato vuoto, due brillanti scintillii color rubino, abbagliarono gli occhi increduli del giovane pescatore.

MG

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